LA TRECCIA di Ketty, Marina, Mario e Pablo

L’INCONTRO

Le giornate di primavera, in cui sta per accadere l’incontro, sono davvero splendide. Il sole sorride proprio a tutti e l’idea di un viaggetto, per spezzare la routine quotidiana, si insinua prepotente nell’ordinario scorrere della vita.
Genny ed il suo inseparabile Luca decidono di recarsi a Barletta per visitare la mostra del pittore impressionista De Nittis.
La mostra è molto affollata e ciò comporta una diversità di sensazioni in ognuno. Genny è felicissima di quel ritorno tra la gente e proprio perché ce n’é tanta si lascia andare liberamente a curiosare tra i presenti.
Alla biglietteria per l’acceso alla mostra Luca, che non lascia mai perdere occasione per avere opuscoli e vario materiale illustrativo, è attratto dal suo vicino, che di tale materiale si è già fornito in maniera esauriente.
E’ per sapere dove reperire qualche depliants che Luca, presentandosi sa che quel signore, fino ad allora sconosciuto, si chiama Giovanni.
Quindi è cosi che il gruppo procede naturalmente insieme per cominciare la visita alla mostra.

Augusto si trovava in Puglia per sistemare delle questioni familiari; la morte della mamma aveva scatenato la voglia di rivincita della sorella Lina, che sta pretendeva di avere diritto alla intera eredità; come se si trattasse di un gran patrimonio…
Augusto che per il suo lavoro era abituato a trattare di rischi sufficientemente importanti non riusciva a capire l’avidità della sorella e comunque il suo obiettivo era quello di risolvere in modo definitivo la questione.
Un giorno, subito dopo Pasqua, decise di spostarsi da Bari e fare una piccola gita a Barletta, gli piaceva moltissimo la pittura impressionista e aveva saputo di una mostra su De Nittis, un impressionista nato a Barletta e vissuto in Francia a metà dell’Ottocento. Di buon mattino usci dalla casa che era stata la sua e di sua madre, si sedette in auto via sulla 16 Bis si avviò verso Barletta. I finestrini aperti, gli facevano sentire gli odori della campagna e nelle orecchie aveva una canzone del primo novecento “Sento fischio del vapore..”
Barletta, De Nittis, l’Ottocento, ad Augusto viene in mente il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo. Dopo un paio di giri, trova un posto all’auto e scende, si dirige verso Palazzo della Marra.
-. Insomma, ma ci si può nemmeno svagare un po’ , alle nove del mattino gia trecento metri di coda !! Verrebbe quasi voglia di andarsene.
Augusto stava per tornare all’auto, quando vide dirigersi verso la coda una coppia di coetanei che non sembravano essere dei visi sconosciuti.
Chi erano quei due signori?
Compagni di scuola, vicini di casa? Anche i due lo guardavano con attenzione..
Augusto si mise a guardare con intensità quegli occhi di donna.
(Chi è? Io quando l’ho vista? No! E’ un viso troppo…)
-Mi scusi signora…- gli occhi ridono sempre più amici.
-Genny, vero….
-Augusto, caro Augusto come stai, quanto tempo, fatti abbracciare..
(Genny quante corse ai giardini ci siamo fatti: è ancora bellissima)
-Che coincidenza! Pensa che stavo per rinunciare vista la coda già alle nove del mattino.
-Ma dai, una mostra così interessante val bene un piccolo sacrificio. Resta con noi; ah scusa! Non ti ho ancora presentato Luca, mio marito e Giovanni che abbiamo conosciuto proprio in questa coda delle meraviglie.
-Piacere Augusto Miracapillo, ex vicino di casa di Genny.
(Sposata! E già è passato molto tempo, io sto a Milano da più di dieci anni, e prima in giro per mezzo mondo).
Così Augusto sente lo stomaco che si fa piccolo, piccolo e gli manda in bocca un lieve sapore acido.
Ma è deciso ormai rimane per scoprire la donna che è diventata la sua più grande e segreta passione giovanile.
Forse resterà deluso, oppure rimpiangerà di non aver osato di più in quel capannone deserto in cui si era trovato, adolescente e innamorato, da solo con Genny. Quella sera in cui, dopo il bacio di lei, fu capace solamente di fuggire e di non cercarla più.
E ora, la vita già fuggita per una buona metà e questa mostra: quadri di donne dell’Ottocento, la passione nella passione e la voglia di scoprire una persona che non conosceva più.
Pensava che doveva esserci un senso, forse questo incontro era un segno, ma di cosa…
Di una rinascita, di una morte, pensava, in fondo è lo stesso.
La vita non è nemmeno superficialmente luminosa come la vollero fermare gli impressionisti. E’ oscura, tortuosa o forse sono i tempi meno fiduciosi in quello che sarà che ci spingono a vedere il mondo in modo diverso: un eterno presente in cui il domani è un bene di consumo che non sappiamo nemmeno se riusciremo a buttare via.
Ma i capelli biondi di Genny e il suo odore appena confuso da un velo di profumo risvegliano Augusto, magari solo l’animale che sonnecchia in ogni essere umano, e il mondo ridiventa semplice, ogni cosa ha improvvisamente un posto, un senso, che non è importante conoscere ma di cui percepiamo istintivamente l’esistenza.

Rivedere Augusto fu per Genny fare un tuffo nel passato.
I ricordi erano nitidi e Genny, ora donna incerta e insicura, riviveva con stupore l’episodio in cui aveva preso l’iniziativa di baciare Augusto, quando erano adolescenti, più di trent’anni prima, pentendosene decisamente oggi, ricordando bene poi la fuga di lui.
Quella sicurezza senza freni ha caratterizzato gli anni giovanili di Genny ma le esperienze della vita le hanno fatto concludere che per il suo temperamento debole e facilmente aggredibile l’unica difesa è imporsi un comportamento, il più delle volte impassibile, dal quale difficilmente emergono emozioni e sentimenti, che oggi Genny preferisce appartengano solo a lei.
Non è più disposta a mettersi in discussione, come solitamente fa quando si trova in situazioni controverse, che, se durano a lungo, in qualche modo la travolgono.

Giovanni era contento di aver trovato compagnia: per quanto molto spesso cercava dei momenti di solitudine in quel periodo desiderava conoscere gente, gente nuova che rompesse la monotonia che subentrava in lui quando frequentava gli amici di sempre. Non che disconoscesse il valore di rapporti consolidati da anni ma nonostante la sua timidezza cercava di porsi in relazione con altre persone forse per cercare in queste stimoli nuovi. L'ultima cosa che immaginava era di conoscere gente a una mostra di pittura anche se, ripensandoci, non avrebbe mai immaginato che sarebbe andato nella sua vita a vedere una mostra di pittura. Inoltre era soddisfatto di aver conosciuto gente simpatica. Solo Luca appariva un po' restio al dialogo ma la sua non sembrava scortesia ma piuttosto timidezza cosa che lui era ben in grado di comprendere. Genny era molto più socievole. E' vero che nella vita spesso, gli opposti si attraggono e nel caso di Genny e Luca la cosa sembrava aver funzionato. Chissà forse in futuro lo stesso sarebbe potuto capitare a lui. Comunque il più apparentemente disinibito era Augusto. Non aveva fatto altro che dire barzellette e battute su tutto e tutti coinvolgendo anche la gente circostante che fingeva di non sentire ma che si divertiva con piacere. In effetti la sua presenza aveva reso più sopportabile l'attesa.
Mentre aspettavano videro un distinto signore che entrava nella mostra da una porta laterale. Il suo ingresso fu seguito dalle lamentele degli altri visitatori ma gli addetti all’ingresso dissero che il signore aveva già i biglietti perché erano compresi nel costo del viaggio turistico da lui intrapreso. Ovviamente le lamentele continuarono finché il cancello d’ingresso alla mostra non si aprì: si trattava ormai per Giovanni ei suoi amici di aspettare il proprio turno.

Il Professore veniva da lontano, dall’altra parte del mondo, anche Lui per De Nittis e compagni, ma il suo sarà un incontro molto sui generis…
Arrivò di mattina e dopo aver fatto un giro per il centro storico e mangiato qualcosa in una tavola calda che trovò in zona, in quel posto, chiese qualche informazione, dopo di che si avviò verso il Palazzo della Marra, sede dell’importante mostra di pittura impressionista del De Nittis, pittore nato a Barletta ma vissuto per lo più in Francia.
Siccome lui, aveva comprato il pacchetto che includeva il biglietto d’ingresso, non fu necessario fare la coda, c’erano troppe persone alla porta, così in pochi minuti era già dentro. Iniziò a percorrere tranquillamente i corridoi, fermandosi per qualche minuto davanti ad ognuna delle opere, molte delle quali conosceva già dai suoi libri, ma vederle così in diretta lo sconvolse.
In una delle stanze c’era un’opera molto apprezzata, e proprio in quella stanza c’erano parecchie persone, che ascoltavano con attenzione ad una guida, che in quel momento spiegava tutte le caratteristiche del quadro.
A lui non piacevano affatto le stanze affollate, perciò evitò per un po’ di entrare, ma vedendo che al posto di uscire, ogni volta era di più la gente che entrava, decise di infilarsi pure lui.
Tentò per alcuni minuti di avvicinarsi, ma lo disturbava il contatto fisico con i presenti, per questo restò indietro. Fu allora, che girandosi, vide dalla parte opposta della sala un quadro che lo colpì profondamente.
Si trattava di un’opera che non aveva mai visto, apparteneva a un altro pittore e ritraeva una giovane donna in compagnia di un piccolo fanciullo, la scena era molto realistica.

IL PROFESSORE
Come ogni mattina entrò nella stanza, sempre con quell’aria da prete. Era alto, magro, pallido e con una presenza di cui si prendeva molta cura e teneva anche conto di cosa si poteva dire o pensare di lui.
Capelli perfettamente allineati, cravatta stretta, che sistemava in continuazione, quasi come una malattia.
Faceva lo stesso con i suoi occhiali, che puliva in modo frenetico, giacché con quelli controllava tutto intorno e riusciva, con grande abilità, a sapere cosa stesse accadendo alle sue spalle.
Si sedeva in perfetta posizione e lasciava sotto la sua scrivania, la cartella di cui non faceva mai a meno, chissà per quale strano motivo...
Controllava che tutto fosse in perfetto ordine, come lui aveva lasciato nella giornata precedente, incluso nel cestino della carta.
Dopo pochi minuti iniziava il suo lavoro, monitorando non solo i suoi compiti, ma anche quello che facevano tutti gli altri nella stanza. Incredibilmente, niente sfuggiva alla sua attenzione né alla sua memoria. Sapeva perfettamente i nominativi e i numeri di telefono, delle persone da contattare in quella data giornata, come erano vestiti ognuno di quelli che erano intorno e se qualcuno usava per la seconda volta, la stessa pettinatura o le stesse scarpe.
Sempre la risposta giusta, nel momento giusto, sempre trovava il modo di sistemare le cose pur di non restare in una posizione sbagliata e scappare, in ogni situazione, dalla parte giusta.
Gli piaceva far finta di telefonare o di essere molto impegnato, mentre non c’era parola che scappasse al suo udito. Adulava e criticava senza guardare mai in faccia nessuno.
Per darsi un’aria importante, parlava con termini molto curati, provocando stupore in chi lo ascoltava.
Ogni tanto, spariva ed al suo ritorno, controllava che tutto fosse nella esatta posizione e pure lasciava ogni tanto, qualche “esca”, cosi c’era un motivo per discutere.
Quella mattina il telefono sulla sua scrivania squillò e una voce nervosa e singhiozzante gli fece sapere, che l’avventura di qualche sera prima, non era andata come pensava e questo era un grosso problema.
Nervosamente, cominciò a guardarsi intorno, il suo viso era diventato ancora più pallido e un sudore freddo gli percorse la schiena.
In un solo ma interminabile minuto, la vita passava davanti ai suoi occhi, e lui stava lì ad assistere impietrito e senza fiato.
Uscì dalla stanza e si chiuse in bagno, le sue mani tremavano, i suoi occhiali erano appannati, la sua cravatta non gli permetteva di respirare.
Questa volta, non era possibile trovare una via di uscita, questa volta era davvero nei guai. Come spiegare alla mamma tutta questa situazione??
Alcuni minuti dopo, rientrò e facendo finta di niente, cercò in vano di scherzare, ma la sua voce era diventata roca.
Il resto della giornata fu diverso, la sua mente, non faceva altro che ricordare più volte, ogni parola della telefonata, senza dargli tregua.
Di ritorno a casa, ricordava gli anni passati in quell’ufficio, ognuna delle giornate e le cose, che era stato capace di fare, pur di essere gradito da chi comandava.
Figlio di un calzolaio ed una maestra, da sempre si era vantato di essere una persona seria, preparata, di portare avanti una vita che poteva essere presa come modello da seguire.
La sua infanzia era trascorsa in compagnia del suo fratello minore e sotto la grande influenza di sua madre, molto esigente e punitiva, che non solo aveva segnato il suo modo di essere, ma era anche una persona, di cui non riusciva fare a meno e, nonostante i suoi quarant’anni, vivevano ancora insieme.
Per anni aveva lavorato in una grande azienda, di cui andava molto fiero, che fallì in modo molto sofferto e dopo una lunga agonia. Questo non era una cosa che lui avrebbe potuto dimenticare facilmente, anzi ogni volta che era possibile, faceva dei confronti con la sua attuale occupazione. Proprio in quel periodo di disoccupazione aveva iniziato ad insegnare in dei corsi serali, presso una scuola di monaci, non era un granché, ma gli permetteva di guadagnare qualcosa in più e allo stesso tempo uscire un po’ da casa.
Da sempre era stato una persona solitaria, senza amici e poche uscite, ma il destino gli permise di conoscere una ragazza, una come lui e soprattutto, come piaceva alla sua mamma…
Fu in uno dei primi incontri, che loro due, presi non solo dalla passione, ma anche da tanti anni di solitudine e lotta interiore, si sfogarono in modo quasi brutale e senza misure.
Non si sentiva sicuro di voler affrontare questa realtà, conosceva appena a quella ragazza, era molto simpatica, ma decisamente non era il suo tipo. Tra l’altro non aveva in mente un cambio così radicale di vita, sposarsi, farsi carico di una famiglia…
Senz'altro, sotto la protezione della sua mamma la vita era tranquilla, senza grosse responsabilità, né faccende domestiche. Lavorando in due posti diversi, riusciva a mettere qualcosa da parte e cosi poteva togliersi qualche sfizio, non voleva rinunciare a quella vita.
Passarono pochi giorni, e si rese conto che non poteva continuare ad andare avanti in questo modo e decise di mollare, dopo tutto già era una persona adulta ed era arrivata l’ora di assumersi le proprie responsabilità.
Parlò con lei e insieme decisero di portare avanti la situazione, ma a patto che in un futuro non molto lontano sarebbe stato necessario sposarsi.
D’altro canto, lui fece tutto il possibile per mantenere lei alla larga da casa sua, fino a quando non avesse trovato il modo di affrontare la sua mamma.
Eppure mancava una cosa importante, lei non avrebbe mai dovuto sapere del suo passato né delle cose che lui aveva fatto, pur di compiacere i desideri de suoi superiori nell’ufficio dove lavorava.
Quell’ufficio era comandato da una donna, ma non una qualsiasi, una donna che sapeva bene mantenere tutto sotto controllo, che non conosceva limiti pur di soddisfare la sua ambizione. Quella donna che tutti chiamavano “La Signora”.
Lei aveva guadagnato il suo posto sapendo utilizzare l’arte della seduzione, chiaramente, in quel momento era molto più giovane, e non aveva troppi pregiudizi né rivali che potevano farle un po’ d’ombra, in poche parole: niente da perdere.
In poco tempo passò da essere una semplice assistente a diventare il braccio destro del “grande capo” e da lì in poi, niente poteva fermarla e nemmeno lei stessa avrebbe mai immaginato che sarebbe arrivata cosí lontano, non solo nella sua ambizione di potere, ma anche nel modo di esercitarlo.
Poco a poco, si abituò al suo ruolo: la persona più rispettata e temuta e anche ai privilegi che questo significava, tra l’altro aveva “carta bianca” per le sue decisioni e nessuno poteva azzardarsi ad alzare una voce contro, tanto meno smentirla.
Con grande sapienza, aveva tessuto la sua rete: aveva le sue “spie” e i sui “gregari ossequenti” in ogni settore, gente che si accontentava con le briciole del potere o semplicemente si sentiva protetta sotto il suo dominio.
Furono questi ultimi, che le permisero di accrescere il suo potere, liberare la strada da ogni ostacolo che si presentava, e lei fu “generosa” con quelli che a suo giudizio collaboravano di più, premiandoli con qualche privilegio.
Siccome lui era stato uno dei suoi collaboratori, decise di parlare della sua situazione, aveva bisogno di prendere un po’ di distanza. Da qualche tempo che non si prendeva le sue vacanze e tra l’altro un bel viaggio poteva servire ad riordinare le idee. In un certo senso sentiva de avere qualcosa da prendere in cambio delle sue “prestazioni” e le chiese allora un permesso speciale ed anche un aiuto.
Si recò preso un’agenzia, e trovò per caso una bell’occasione: un viaggio oltre confine per qualche giorno con partenza quello stesso fine di settimana, verso l’Italia, più precisamente verso il sud. Non era uno di quei viaggi tradizionali, ma una gita più che altro culturale, visitando molte località d’interesse artistico tra cui un’importante mostra di pittura impressionista, cosa che a lui da sempre era piaciuta tantissimo. A casa sua teneva molti libri su quest’argomento e anche qualche riproduzione, che era diventata la sua passione. Insomma niente di meglio per calmare la sua ansia.
Tornò a casa euforico, ed iniziò subito a preparare tutto per la sua partenza, senza dare troppe spiegazioni e pure inventando la storia di un premio che aveva vinto, pur di calmare sua madre.

GIOVANNI
Oggi vi parlo di Giovanni. Un po' Giovanni lo conoscete, assomiglia un po' a ognuno di noi.
E' un po' incoerente Giovanni. Come si suol dire, predica bene e talvolta razzola un po' male. Sperò se ne rende conto o, quando qualcuno glielo fa notare, cerca di razzolare bene.
È testardo Giovanni e vuole sempre fare di testa sua finché non finisce con lo scottarsi. Tante volte si è scottato e tante volte si scotterà ancora.
Giovanni agisce prima di riflettere che è giusto quello che sta facendo ma se riflettesse prima di agire molte cose gli potrebbero andare meglio.
Giovanni vorrebbe vivere nei suoi sogni, ovviamente in quelli belli, ma sa che la vita non è un sogno.
Il personaggio che descrivo sono io.
Sono io con pochi capelli( mannaggia ai medici potevano pensarci prima al Minoxidil),con la sua pancetta che dura anche dopo le feste come se per me fosse sempre Natale finchè non arriva la Pasqua.
Sono io che guardo il disordine nella mia stanza e non faccio niente oggi rimandando il mettere in ordine a domani tanto è sempre domani.
Sono io che spendo tanto per il vestire e poi le cose si accumulano e non so cosa mettere.
Sono io con pregi pochi, difetti tanti e che comunque devo andare avanti.
Io stamattina non sono sereno. Quel colloquio di lavoro è importante per la mia vita e l’ansia mi sta assalendo facendo rinascere in me le debolezze che aveva quando ero bambino e mi bloccavo al momento dell’interrogazione. Mi ricordo del mio maestro buono che riusciva con dolcezza a farmi dire tutto ciò che sapevo ma che non riuscivo a far uscire dalla mia bocca preso dal panico. Quel maestro fu per me il padre che cercavo, il padre che volevo avere ma che non avevo. Mio padre era presente nel corpo ma non nello spirito poi,all’improvviso, fu assente anche nel corpo.
Un giorno fece le valigie e andò senza dire dove né il perché lasciando me e mia madre nel dolore più totale. Non seppi più nulla di lui. Era come se fosse entrato nel mondo del nulla. Mia madre, da allora non si è più ripresa e passa le sue giornate davanti alla finestra in attesa di un ritorno. Solo poche amiche vengono a trovarla ogni tanto cercando di distogliere la sua mente dai soliti pensieri. Andato via mio padre il peso della famiglia era di colpo caduto su di me come un macigno. Fui costretto a lasciare l’università e a cercare un lavoro. Nonostante il mio diploma di ragioniere mi sono adattato a qualsiasi tipo di impiego Feci di tutto; il cameriere, il buttafuori nelle discoteche, l’assistente agli anziani negli ospedali tutti lavori in nero ma che mi sono stati sufficienti a portare avanti la mia famiglia. Ma ora avevo bisogno di un lavoro fisso anche umile per riordinare la mia vita e pensare un po’ a me stesso. Preso dai miei pensieri, non mi ero reso conto dell’orario. Mi vestii di corsa, uscii da casa, entrai in macchina, partii. Chissà, forse quella era la volta buona. Mia madre era affacciata alla finestra.


GENNY
Genny nasce in una famiglia felice, papà e mamma sono molto affiatati tra loro.
I suoi due fratelli li vede grandi, lontani ed anche se il loro affetto, e vorrei dire amore, le e' tangibile Genny sente che per lei sono irraggiungibili.
Questo senso d’inferiorità l'accompagnerà per sempre.
Genny, con gran piacere, conosce un’adolescenza spensierata e festosa.
In età matura si sorprenderà a ricordare i molti momenti vissuti con sicurezza, quasi a sfidare il prossimo, pur di affermare i propri pensieri.
Oggi Genny ha molto tempo per sè, ma e' come avvolta in una barriera dove all'interno c'e' un grandissimo desiderio di riaffacciarsi agli altri, che non si rende concreto perché esiste un’abitudine a lunghi periodi di solitudine, tanto da farle preferire, a volte, questa condizione all'altra dell'essere in compagnia.
Il suo cruccio più grande e' il non avere argomenti per avviare la conversazione o farla continuare.
Teme di essere qualificata come egoista o asociale ed ha un unico gran desiderio: sconfiggere la sua pigrizia.
Genny ha conosciuto periodi molto difficili.
Gli ultimi venticinque anni li ha trascorsi in condizione di quasi disabilità, ma ora pian piano tutto sta andando per il meglio.
Sta vivendo il piacere di andare a rivisitare i suoi parenti e qualche amico di famiglia fa capolino al telefono.
Sono situazioni semplici e comuni, ma Genny ora le vive quasi con meraviglia e riscoprendo veramente il piacere di vivere bene in casa, e’ anche ben felice di accompagnarsi a Luca, suo marito, in rilassanti passeggiate o per partecipare a riunioni conviviali.

AUGUSTO MIRACAPILLO
Il suo nome è Augusto Miracapillo, è nato a Bari nel settembre del 1954.
E’ nato in casa, con l’ostetrica, perché allora per nascere non si andava in ospedale, si usava il tavolo della cucina.
Ora vive a Milano, in periferia e ha una gran nostalgia per il “crudo”.
Vive solo Augusto, nel suo piccolo bivani in una traversa di via Inganni, non troppo pulito né troppo sporco; d’altra parte ci vive poco, sta sempre in ufficio.
Lavora come corrispondente dei Lloyd’s negli uffici milanesi di una società di brokeraggio assicurativo che sta in centro, ma si raggiunge facilmente con la metropolitana.

Il suo primo ricordo lo commuove ancora a cinquant’anni di distanza.
Un giorno di primavera, la luce entrava dalla finestra nella cucina dove sua madre era seduta alla macchina da cucire.
Lui, Augusto era sul pavimento e stava giocando con delle piccole pentole di latta, e si ricorda perfettamente che in quel momento decise, lui bambino, di mettersi in piedi, lasciare il gioco che stava facendo per un gioco più bello: camminare.
Un pochino traballante, prima si alzò, poi fece il primo passo, poi il secondo e poi, dondolando sempre meno, si diresse verso la finestra e alzò gli occhi verso la mamma.
La mamma aveva smesso di cucire da qualche minuto e si era messa ad osservare Augusto: ora era entusiasta.
-Bravo Augusto dai vieni a’ mamma!
Si alzò dalla sedia mentre il piccolo le veniva incontro con le mani tese.
Alla fine Augusto abbraccia la mamma e la mamma abbraccia lui e gli odori della madre e del bambino si mescolano nel ricordo di Augusto ormai adulto.

La mamma di Augusto si chiamava Carmela. Era, a quel tempo, una giovane signora, non molto alta, cogli occhi scuri e i lunghi capelli neri.
Delle due gravidanze le erano rimasti un po’ di chili in più e un marito che lavorava al Nord e di tanto in tanto rientrava a casa.
Sola coi bambini si era dovuta inventare il lavoro di sarta in casa e con quella attività riusciva a far fronte alle spese quotidiane.
No, non era quello che aveva sognato per sé, la madre di Augusto, quando si era scelta il più bel ragazzo del quartiere.
Si era immaginata una vita piena di cose belle e di speranze e in fin dei conti si ritrovava a faticare da mattina a sera solo per sbarcare il lunario.
Ah il piccolo Augusto che in quel momento abbracciava la madre vicino alla finestra della cucina, non avrebbe seguito la sua strada, no!
Lei non lo avrebbe permesso.
E così Augusto era cresciuto senza che gli mancasse niente: la fettina di carne ogni giorno, i vestitini modesti ma dignitosi, l’amore smisurato della mamma che da una parte lo coccolava e parteggiava per lui, Augusto, penalizzando assai la sorella Lina (in realtà Adelina, ma già compressa nel nome), che aveva sempre e comunque la peggio, dall’altra presa dal lavoro aveva spesso pensieri che escludevano il figlio da qualsiasi possibilità di contatto con lei.
Per il piccolo era una perenne doccia scozzese emotiva fatta di slanci smodati e silenzi insopportabili.
Augusto era in tutto e per tutto il cocco di mamma e crescendo la situazione non era cambiata.
Lui ricompensava lei impegnandosi molto negli studi, e nonostante le loro condizioni economiche non fossero agiate, riuscì a frequentare con successo il Flacco, cioè il liceo classico della città.

ALLA MOSTRA
Augusto è prontissimo a sfoderare tutto il suo fascino di uomo di mondo, raccontando, soprattutto a Genny nelle sue intenzioni, fatti, fatterelli e barzellette ricavate dai suoi numerosi viaggi. Ma i suoi pensieri sono confusi e l’enfasi delle sue parole suona falsa pure a lui.
(Sembra di essere a Lecce e invece siamo a Barletta, questo palazzo della Marra e chi l’aveva mai visto, è anche vero che qui è la prima volta che ci vengo)
-Genny lo sai che è la prima volta che vengo a Barletta! E poi chi avrebbe mai pensato di trovarci questo baroccastro leccese che è roba da salentini, che mi dici?
-Io e Genny siamo già venuti qui l’anno scorso, per la prima mostra di De Nittis, peccato che Lei non l’abbia vista era davvero splendida- rispose Luca
-Scusami Luca e anche tu Giovanni, datemi pure del tu, ma io adesso parlavo del contenitore e non del contenuto, in ogni caso, avessi avuto l’occasione per venire giù, lo avrei fatto più che volentieri, purtroppo non mi è stato possibile, e comunque visto che siete esperti, mi farete da guida.
(Perché Genny ora sta zitta e non parla non mi guarda, io sono rimasto qui per lei…
Augusto sei il solito inguaribile cavalier servente, forse se avessi agito diversamente ora non saresti qui a sbavare per una vecchia fiamma)
Augusto è visibilmente distratto e si chiede quali siano i colori della felicità, il suo idillio mentale si è rotto e i frantumi vanno a sbattere contro una realtà che lo rattrista.
Si butta sui quadri come su una scialuppa di salvataggio e tira fuori la sua passione per l’arte e per i bei tempi antichi, che più che antichi erano moderni.
Torse de jeune fille au soleil
E’ la luce sfumata, quasi non ci sia nessun confine alla sensualità acerba di questa ragazza in fiore; non mi attizza proprio il seno scoperto, ma le curve nel loro insieme così rotonde e la presenza della natura che si intuisce dietro la figura umana; uhm….proprio adesso un risveglio dei sensi, posso solo ricordare l’ultima volta che ho fatto l’amore qui.. avevo forse vent’anni e lei? Chi era lei? Non ricordo, la spiaggia deserta di notte quella sì la ricordo e il rumore e il profumo del mare e la sabbia che entrava dentro ai nostri corpi come fosse una parte di noi, e poi la mia solita immensa timidezza che a un certo punto è stata sopraffatta dalla sensualità di lei, che aveva un colore di capelli simile a quello del quadro e le mie mani dappertutto e i pensieri svaniti dietro all’esplosione dei sensi, alla carne soda e al sudore. Poi nulla più, perché sono partito per Londra, lasciando mamma in ambasce e sorella sollevata.
Ora basta vediamo quest’altro…
Le dejeuner des canotiers
Quante volte ho visto sui libri ‘sto quadro, e sempre ho invidiato la gioia di stare insieme: per me è così difficile. E le ragazze coi loro cappelli, gli uomini in canottiera, con uno sguardo così allegro e fiducioso da far invidia. Dov’è finito il progresso, quel bel progresso lineare dell’Ottocento dove tutto andava avanti verso il sapere, la scienza, ma anche il miglioramento delle condizioni di vita, anche se non per tutti. Era una felicità aproblematica che noi oggi non riusciamo nemmeno a pensare.
Io penso solo a chiacchierare col mio corrispondente londinese sulla qualità del tè.
Ma che vita è la mia, che vita è stata non c’è un senso, non un luogo, ma una rincorsa di futilità e vigliaccheria, per non aver mai scelto, mai, quello che volevo essere…
Il nostro non è un tempo di certezze, vuoi mettere il bel realismo di Pellizza da Volpedo, anche lì l’ideale socialista che avanza e sbatte contro i totalitarismi della prima metà del Novecento.
Certo che però a chiamare una figlia Idea Socialista, ci voleva coraggio e ancor più coraggio fu quello di Cuccia, il potentissimo banchiere che se la sposò.
Ma non è già più la luce dell’osteria sulla Senna, i contorni sono più netti e bisogna fare delle scelte.
Vuoi dire che la felicità è morta dopo la Prima Guerra Mondiale?
Io la felicità non la cerco più, per me è solo un incidente, un caso, come l’incontro con Genny e la mia attuale forte delusione, per la sua assenza emotiva.
E quel, come si chiama, Giovanni, che cerca un posto al sole e poverino, il sole penso non l’abbia mai visto.
Il mio cinismo sconfina nella cattiveria, sono il solito stronzino snob che gioca a fare l’intellettuale.
-Augusto, dai vieni ci sono altre sale, sbrigati noi siamo già avanti…
-Arrivo Genny, arrivo (dove mi porta il cuore?).

I quadri sono esposti nell’antico Palazzo Marra, disposti in piani diversi, quindi, dopo l’acquisto del biglietto d’ingresso, i visitatori procedono seguendo liberamente il loro interesse verso la mostra ed incominciano a soffermarsi su i singoli quadri.
Il pubblico è numeroso e rimanere uniti è difficile.
Genny condivide con Luca la vicinanza di Augusto di cui apprezza, sentendolo conversare la preparazione sul pittore De Nittis e su tutto l’impressionismo.
Giovanni, il più indipendente del gruppo, procede più speditamente e si attarda a guardare un quadro se davvero ne coglie impressioni coinvolgenti.
E’ impossibile non notare fra i visitatori una bella persona: alta, elegante e molto interessata ai singoli quadri.
Ha un’aria cosi distinta che Genny nei suoi pensieri lo immagina poter essere un professore.
Davanti al quadro della Donna col Fanciullo, Genny si sofferma incantata.
Cosa racconta quel volto di donna?
L’immagine trasmette serenità, ma gli occhi, almeno per Genny, non sembrano sorridenti.
Il fanciullo, invece, sembra completamente affidarsi alla mano della madre, come chi si affida completamente alla propria guida.
Perché, si chiede Genny, quello che la colpisce nel quadro è quel velo di tristezza, quasi di dolore, che si coglie negli occhi di quella mamma?
O quell’espressione è comune a molte madri?
Perché se le madri sono compiaciute di esserlo diventate, sono anche tristi?
Genny conclude tra sé e sé che si tratta di un vero mistero.
Forse, invece più semplicemente quella mamma è un po’ stanca e preoccupata, ma per cosa?
I bambini possono essere angeli che sorridono e in questa condizione è facile dar loro affetto e tenerezza, ma quando fanno i capricci o si impuntano su desideri irrealizzabili e strillano e piangono, si lamentano, l’intuito di una madre a volte si trova disarmato.
Si desidera avere a disposizione l’eternità, per tentare di dipanare matasse difficilissime, fermare il tempo per non sentire più i pianti e le proteste che agli adulti sembrano così campate in aria.
Genny si risveglia dalle sue riflessioni e cerca di rasserenarsi pensando che in realtà madri e figli non dovrebbero essere soli e dovrebbero poter contare sull’umanità che li circonda.

Dopo un’altra mezz’ora di attesa riuscirono a fare il biglietto e entrarono nella mostra. All’ingresso c’era un tabellone su cui si poteva leggere la biografia del pittore e le sue opere principali. Giovanni così scoprì che De Nittis era nato a Barletta ma era morto a Saint-Germain-en-Lay in Francia dove svolse quasi totalmente la sua attività. La mostra era su più piani e delle frecce indicavano il percorso da seguire. Sotto ogni quadro c’era la data della sua realizzazione. Giovanni rimase affascinato dai quadri esposti. Uno in particolare lo colpì. Si intitolava”Corse al Bois de Boulogne” che proveniva dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Inoltre erano riportate notizie sul palazzo Marra che ospitava la mostra.
Il Palazzo Della Marra risulta essere un unicum nel panorama dell’architettura nobiliare barlettana.Gli studi più recenti ne attribuiscono la committenza, nella seconda metà del 1500, al nobile Lelio Orsini, ricchissimo aristocratico napoletano; alla sua morte nel 1633 il palazzo fu acquistato da un ramo della più potente delle famiglie barlettane: i Della Marra, proprietari fino al 1743. Il Palazzo si ergeva isolato e la facciata principale, a seguito di questo passaggio di proprietà, fu spostata su via Cialdini con l’apertura di un portone decorato da due allegorie della vecchiaia e della giovinezza. Il sontuoso balcone è sorretto da cinque mensole ornate da mostri, cani e grifi terminanti con mascheroni con la bocca aperta. Lungo la facciata, all’altezza del balcone, corre un fregio che riporta la scritta “DELLA MARRA”. La ricca decorazione della loggia ripropone temi allegorici delle stagioni della vita. Successivamente il Palazzo passa alla nobile famiglia Fraggianni nel sec. XVIII e a Donato Ceci agli inizi del 1900. Poi c’è stata l’acquisizione da parte del Demanio Statale nel 1958 e i restauri del 1971. La mostra dal titolo “De Nittis e Tissot. Pittori della vita moderna” è stata la grande occasione espositiva con la quale si inaugura la nuova e definitiva sede della Pinacoteca Giuseppe De Nittis, istituita in seguito alla donazione di 172 fra dipinti, pastelli e incisioni donati da Léontine Gruvelle a Barletta, dopo la morte di De Nittis avvenuta a soli 38 anni.
Giovanni è completamente rapito dalla visione delle diverse opere e passa in fretta da una sala all’altra, tornando poi sui suoi passi, come in uno strano balletto.
Al Bois de Boulogne, ritrae in maniera splendida i divertimenti e i ritrovi mondani della società parigina, Colazione in giardino, uno dei suoi ultimi quadri. La strada da Napoli a Brindisi ( La strada da Brindisi a Barletta). Giovanni si meravigliò anche del perché un pittore così bravo non aveva subito avuto successo in Italia. Scoprì leggendo le varie recensioni che stavano sotto ogni quadro che De Nittis aveva viaggiato molto: un quadro rappresentava magistralmente la frenetica vita londinese (trafalgar Square) e lesse, inoltre che il pittore non si era dimenticato del suo paese natio visto che nel 1870 era tornato in Italia dove dipinse il Vesuvio sia spento sia durante l’eruzione del 1872. Chissà quanto poteva dare ancora alla pittura italiana se non fosse morto così giovane. Anche La pittura giapponese influenzò la pittura del maestro.
Mentre ammirava le opere notò un signore alto, magro, elegante, ma di un’eleganza che sicuramente non aveva nulla di europeo. Si voltò insieme ai suoi compagni. Fu colpito da questa persona che trasudava cultura solo a guardarlo, anche gli altri tre amici l’avevano notato. Si dissero che era un personaggio molto strano, così strano da sembrare una specie di extraterrestre.
-Gli mancano soltanto le antenne, disse Augusto.
Genny e Luca propendevano per l’ipotesi “professore di storia dell’arte” innamorato dell’Italia e dei suoi capolavori.
-NO! Giovanni era in preda a una delle sue spropositate arrabbiature nonsense.
-E’ di sicuro un prete o comunque qualcuno che ha a che fare con il mondo dello spirito, per questo qui, in mezzo a tutta questa carne, sembra un elefante in un negozio di porcellane.
Genny trovò il “coraggio”di chiedergli in inglese da dove venisse, ma lo straniero sembrava non capire e comunque non era per nulla intenzionato a rispondere; era come se fosse stato scoperto, farfugliò qualcosa in una lingua incomprensile per i quattro amici, e si diresse velocemente verso un’altra sala.
All’improvviso una voce annunciò che la mostra stava per chiudere. I visitatori si diressero verso l’uscita ma Giovanni notò che il Professore si dirigeva in direzione opposta ma non dette molto peso alla cosa.
Giovanni pensò che stesse andando al bagno, forse per rinfrescarsi, dopo le fatiche della giornta. Disse quello che aveva visto ai suoi compagni che lo tranquillizzarono affermando che c’era altro a cui pensare e in altre parole a come passare la serata.

IL FATTACCIO
Il Professore si fermò, ed iniziò a fissare la donna con il fanciullo nei minimi dettagli, e proprio mentre la guardava, qualcosa dentro di sé, lo spinse a reagire in modo molto violento, qualcosa che lui stesso non sarebbe mai riuscito a capire… Lui non guardava intorno, era accecato dalla rabbia, esplosa così all’improvviso.
Fu soltanto un attimo, pochissimi secondi, che, però sembrarono interminabili, come se il tempo si muovesse al rallentatore.
Iniziò a sudare e si allontano dalla folla, qualcosa dentro di sé, gli diceva che doveva appropriarsi di quell’opera, piuttosto doveva farla sparire.
Mancavano ancora un paio di ore alla chiusura della mostra e lui cominciò a gironzolare per i corridoi, facendo finta di niente. A un tratto provò ad uscire, ma non fu possibile, la sua rabbia non gli permetteva di lasciare quel posto senza compiere la sua vendetta.
Passavano i minuti e man mano, diminuiva la quantità di gente, allora seppe che era arrivato il suo momento. E, mentre tutti si avviavano verso l’uscita, lui facendo finta di andare verso i servizi, si infilò di corsa in quella stanza, varcò il limite di sicurezza e con grande forza, infilò le dita dentro il telaio che reggeva la tela, strappandola, la piegò e la mise sotto i suoi abiti. Poi uscì in tutta fretta.
Sembrava che nessuno si fosse accorto di quanto era accaduto, adesso non vedeva l’ora di finire con quella follia.
Iniziò a girare nervosamente per le stradine e i dintorni, cercando un posto per disfarsi di quell’opera, ma dato che non trovava niente che lo convincesse veramente, pensò che fosse meglio attendere il buio. Tra l’altro, il suo treno sarebbe partito solo a mezzanotte.
Alla fine, decise di andare in una trattoria che trovò per caso e si mise seduto a un tavolo, forse quel posto sarebbe stato giusto per poter pensare con un po’ di calma e allo stesso tempo, cercare di non farsi notare troppo.
C’erano alcune persone in quel locale, in un tavolo un po’ più in là, che gli sembravano volti conosciuti, forse erano alla mostra.
A un certo momento, qualcuno disse:
-. C'e stato un furto alla mostra, accendi la tv!
Lui diventò ancora più nervoso, tremava e sudava allo stesso tempo, si alzò e dirigendosi verso i servizi, sentì la sirena di una volante che passava per la zona.
Entrò in bagno, si chiuse in uno dei gabinetti ed aggiustò bene sotto i suoi abiti la tela col quadro. Poi si lavò la faccia con acqua fredda e uscì, facendo finta di niente. Andò verso la cassa, pagò il suo conto ed iniziò a camminare verso la stazione, con passo piuttosto veloce. A quest’ora non ci saranno troppe persone, pensò dentro di sé. Magari una volta dentro il treno avrebbe potuto buttare il suo “carico” nei servizi o disfarsi in qualche altro modo e così, nessuno verrebbe mai a sapere che era stato lui.
Fu in quel momento, che vide avvicinarsi due carabinieri che venivano camminando in senso opposto. In modo frettoloso attraversò la strada passando dall’altra parte, ma all’angolo vide che c'era una volante parcheggiata e dei poliziotti che stavano fermando delle persone e facendo richieste di documenti.
Spinto dal panico, iniziò a correre, e allora una voce molto decisa gli disse:
-. Fermo, non si muova!
Lui si fermò, era impietrito, sudava e respirava con grande difficoltà, allora capì, che per lui era finita.
-. Favorisca i documenti per cortesia!
Si girò e dietro di lui c’erano i due carabinieri che aveva appena incrociato. Non riusciva ad emettere manche una parola, le sue mani tremavano.
-. Sss… Si! Rispose e mettendo le mani dentro le tasche, cominciò a cercare nervosamente senza trovare nulla, finché uscì fuori il suo portafoglio, che scivolando dalle sue mani per il sudore, cadde per terra, facendo uscire l’intero contenuto.
-.Dove stava andando con tanta fretta?
Lui, restò nel suo mutismo, non tentò nemmeno di pronunciare una parola.
Allora uno di loro, facendolo appoggiare contro un muro a gambe aperte inizio a palpeggiarlo, e poco dopo disse:
-. Mi faccia vedere, cosa ha nascosto qui sotto la camicia?
Lui iniziò a piangere, solo guardava il muro e tirò fuori il suo quadro piegato. Nel frattempo, erano giunti sul posto altri poliziotti e alcune persone guardavano da vicino.
Allora lui disse, con grande amarezza, in mezzo alle lacrime:
-. Lei ha rovinato la mia vita, Maledetta!
Queste furono le uniche parole che riuscì a pronunciare.
Poco dopo, aprì i suoi occhi, c’erano diverse persone intorno che lo guardavano, lui non capiva niente di quanto era accaduto.
Una giovane ragazza del servizio di assistenza del 118, gli era accanto, gli misurava la pressione con lo stetoscopio al collo e disse:
-. Si è ripreso. Fate largo per favore!
Allora, vide arrivare una barella e altre due ragazzi che volevano caricarlo su di essa.
Era ancora un po’ scioccato, non riusciva a parlare e così, lasciò fare il loro lavoro ai soccorritori. Ma dopo qualche minuto, disse:
-. Dove mi portate? Dove sono i poliziotti? Cosa sta succedendo?
La giovane ragazza gli disse:
-. Stia tranquillo, è tutto a posto, Lei ha avuto un malore, ma adesso faremo qualche accertamento e presto andrà a casa.
Cominciò a toccarsi il petto, a cercare il quadro, ma non c’era nulla e non ebbe il coraggio di chiedere a nessuno quanto era accaduto.
Dopo il viaggio in ospedale e qualche controllo ulteriore, gli fecero sapere che era già dimesso.
Uscì all’esterno e vide che il sole, stava lentamente scomparendo dietro le mura dei palazzi circostanti.
-. Ma, tutto questo è stato solo un incubo? Mamma mia!
E così, restò con lo sguardo perso nel nulla, mentre il buio di una sera di inizio estate avvolgeva la città.


A CENA FUORI

L’idea di cenare fuori non piaceva molto ad Augusto, però non aveva neanche voglia di tornare a casa, di rivedere sua sorella, di rituffarsi in quell’atmosfera da faida ereditaria che somigliava molto a una telenovela.
Si lasciò trascinare dalla situazione, nello smarrimento dei sensi ancora persi nei quadri che aveva finito di vedere, dall’incontro con Genny, dalla sua perenne voglia di essere altrove: ma dove?
Non voleva stare solo anche se poi insieme agli altri si metteva a recitare la parte dell’uomo invisibile.
Pensava alla sua casa milanese, e a tutte le volte che si era immaginato una abbuffata di sapori della sua terra: il morbido sciogliersi in bocca degli allievi e dei frutti di mare crudi, in particolare amava le piccole ostriche tonde, così diverse da quelle bretoni ellissoidali enormi ambasciatrici della grandeur française, che si trovavano fresche anche a Milano: chissà se a De Nittis le ostriche piacevano…..
Gironzolavano tutti e quattro per le strade del centro di Barletta, Augusto si era accodato a Giovanni, per prendere un po’ di distanza da Genny che stava inevitabilmente incollata a suo marito, quasi fosse una sua appendice corporea, quando Giovanni notò un’insegna
LA TRATTORIA DEL COLOSSO – PIATTI INDUSTRIALI
-Con la fame che abbiamo dopo una giornata così movimentata, ci vuole un posto così!- esclamò Giovanni.
-I piatti industriali li cucinano anche in via Zuretti a Milano, lì si mangia bene, io ci sto.
-Va bene anche per noi, disse Luca, abbiamo davvero fame.
Entrarono, il locale non era grande, una decina di tavoli in tutto, con tovaglie di cotone a quadri ricoperte da una cerata trasparente e tovaglioli di carta.
(I piatti industriali di via Zuretti, hanno ambizioni di locale più elegante, ma la forma non è detto che pregiudichi la sostanza, anche se la sostanza è forma, ma io ho fame per cui vedremo solo a posteriori se Aristotele ha ragione oppure no).
Venne loro incontro una signora morbida e paffutella coi capelli neri raccolti in un consistente chignon che sembrava uscita da uno dei quadri della mostra.
-Prego accomodateVi, siete quattro vero? Mi è rimasto libero solo il tavolo nell’angolo, il resto è prenotato da una comitiva di tedeschi, venuti qui da Vieste per la Mostra.
Mi dispiace non c’è molto da scegliere perché abbiamo approntato un menù turistico appositamente concepito per l’occasione.
Nel frattempo i nostri si erano seduti e guardavano con curiosità il cartoncino, scritto a mano, in una bella calligrafia d’altri tempi in cui campeggiava la scritta menù:
Antipasti della Marra caldi e freddi
Orecchiette alla de Nittis
Involtini Bois de Boulogne
Insalata Renoir
Sorbetto al Colosso.

Non fosse stato per quella stonatura relativa al Colosso, che però era anche il nome del locale, Augusto pensava che questa cena poteva essere il degno proseguimento di quella giornata così particolare.
I commensali commentavano divertiti i nomi dei piatti, ma a parte il vino della casa, un rosso a temperatura di cantina, che aveva decisamente rianimato i volti e le voci, grandissima fu la sorpresa quando si videro presentare da una parte un piatto ricolmo di bruschette e crostini di ogni tipo, in onore del gemellaggio franco-pugliese, impersonato dalla gloria locale, dall’altra udite,udite un carpaccio di pesce spada, da far invidia al più titolato dei sushi giapponesi.
-Perdonatemi, vengo da Bari anche io, disse piano la Morbida, e in mezzo a tutta ‘sta Germania, ho pensato di farVi cosa gradita..
Augusto aveva già scordato tutti i suoi dispiaceri e si era buttato sugli antipasti, come del resto gli altri componenti del gruppo.
-E si dice che il rosso non va sul pesce, ma qui è tutto magnifico
Giovanni era un filo agitato, Augusto era riuscito a cogliere la sua agitazione dal tono della voce insolitamente elevato, ma lo incoraggiò
-Un trionfo del crudo..
Le orecchiette erano fatte a mano e condite con cozze sgusciate aglio e prezzemolo, una vera delizia…
Il secondo fu un’ulteriore sorpresa gli involtini non erano altro che filetti di orata ripieni di cardoncelli della Murgia trifolati.
Augusto si chiedeva se stesse sognando, se quella donna, la Morbida, non fosse un angelo venuto da un paradiso dei golosi a lenire le pene dei commensali; e i capelli quei capelli che gli ricordavano tanto i capelli di sua madre in cui da piccolo amava perdersi per trovare tutto proprio tutto l’amore della sua mamma.
Insalata Renoir, era un misto di pomodori cetrioli e piccoli pezzi di peperoni gialli e rossi, conditi con l’olio un po’ pizzicorino che viene da Corato, un capolavoro del gusto.
Il sorbetto del colosso era un semplice sorbetto al limone, ma fatto in casa, il chè era il degno finale per una cena così gustativamente pirotecnica.
Augusto era esausto, Genny e Luca satolli, solo Giovanni non riusciva a trovare pace.

Genny e Luca erano un po’ stanchi, ma non conoscevano Barletta, se non per la loro recente vocazione impressionista. La conoscevano a parole perché avevano sentito parlare della famosa “Disfida”che lì si era svolta nel 1503 tra cavalieri italiani e francesi. Comunque in quel momento il pensiero di Giovanni e compagni era rivolto a qualcosa di più materiale e cioè a trovare posto in un locale tipico del posto. Lo trovarono in una piccola trattoria a cucina casalinga. La proprietaria era una signora grassoccia e simpatica che correva da un tavolo all’altro felice però, quella mostra per lei e per gli altri ristoratori era stata una vera manna dal cielo. Mentre i quattro amici consumavano il pasto, Giovanni non poteva scacciare dalla mente l’immagine di quello strano signore che avevano notato alla mostra.

(E se il nostro elegantone, anziché essere un uomo di chiesa, fosse un ladro…) La fantasia di Giovanni si mise a galoppare.
Nella mostra su “De Nittis” si poteva consumarsi qualcosa di molto fuori dall’ordinario. Un’ombra avrebbe camminato nella sala al primo piano, un’ombra con una torcia elettrica in mano con la quale illuminare i quadri esposti sulle pareti. Si sarebbe potuto fermare davanti a quello che piaceva al Professore: la donna con il fanciullo.
Giovanni e i suoi amici stavano trascorrendo una bella serata. La cena più andava avanti più era spettacolare e il menù seppur turistico era confezionato con materie prime di buona qualità. D’altra parte Barletta era una città posta vicino al mare e si sperava che il pesce fosse fresco. E in effetti le speranze non furono deluse. Augusto soprattutto si scatenò. Probabilmente a Milano era difficile mangiare pesce veramente fresco e colse quindi l’occasione per farsi una bell’abbuffata facendo onore ad ogni portata senza porsi alcun problema sugli eventuali disturbi che sarebbero potuti insorgere il giorno dopo. Finita la cena, che nella realtà si stava trasformando da cenacolo dove parlare a tempio del cibo dove gustare in silenzio e in abbondanza, i quattro avrebbero potuto scambiarsi i rispettivi numeri di cellulare per potersi rivedere visto che Augusto sarebbe rimasto in zona per qualche altro giorno. Giovanni pensò che l’orario della fine probabile di quella abbuffata avrebbe potuto essere l’una di notte, in quel momento immaginò entrare nel locale due signori con l’aria trafelata, che avrebbero potuto chiedere alla proprietaria se erano ancora in tempo per cenare. La proprietaria avrebbe detto sì con il capo aggiungendo comunque che, vista l’ora, non era rimasto molto dei piatti del menù impressionista.

Giovanni pensò che una delle due figure furtive poteva essere il Professore:”Strano “si sarebbe potuto domandare fra sé. Come mai era arrivato così tardi a cena. Eppure la mostra era chiusa da un pezzo.”Mentre Giovanni si sarebbe potuto porre queste domande la padrona dell’osteria avrebbe potuto ricevere un telefonata, impallidire e urlare:”E’ stato rubato un quadro di De Nittis esposto al palazzo della Marra.”
I tre amici si sarebbero certamente alzati per soccorre la signora, ma Giovanni avrebbe notato una leggera contrazione del volto del Professore che nell’apprendere la notizia avrebbe iniziato a tremare e lui Giovanni, ad avere dei sospetti. Avrebbe tentato di comunicarlo ai suoi compagni che un po’ ci avrebbero ironizzato sopra, facendogli intendere, senza dirglielo ,che forse aveva troppa immaginazione. Giovanni però non si sarebbe arreso e avrebbe cominciato ad osservare anche l’altro signore che accompagnava il Professore; di colpo si sarebbe ricordato di lui: era il custode della mostra. A quel punto i sospetti di Giovanni avrebbero cominciato a diventare certezze. Senza dir nulla ai suoi compagni avrebbe chiamato la polizia.
Il volto del professore era trasalito, nella fantasia di Giovanni un po’ eccitata dal vino rosso, al sentire la notizia del furto perché ne era proprio lui l’autore. Non era partito con l’intenzione di rubare quel quadro ma si sa l’occasione fa l’uomo ladro. Ovviamente avrebbe avuto bisogno di una talpa all’interno della mostra e l’avrebbe trovata nel custode che scoprì non essere proprio uno stinco di santo. Era stato assunto come custode della mostra dopo aver trascorso cinque anni in carcere ed esserne uscito da poco per buona condotta. Quando il Professore gli propose il furto disse no ma dato che il lupo perde il pelo ma non il vizio e lui pelo non ne aveva visto che era non solo glabro ma anche pelato decise di optare per il vizio e accettò l’offerta. D’altra parte il lavoro per il museo era a tempo determinato e dopo un po’ sarebbe rimasto senza soldi mentre con la metà del valore dell’opera trafugata poteva garantirsi un futuro quasi sicuro all’estero. Ovviamente non aveva considerato che il Professore volesse tenersi l’opera per sé. In ogni modo quella notte sarebbe stato lui ad aiutare il professore a staccare il quadro a disattivare l’allarme e ad aprire il cancello d’ingresso. Una volta fuori avrebbe riattivato l’allarme e richiuso il cancello convinto che nessuno si sarebbe reso conto del furto fino al giorno dopo quando sia lui che il Professore sarebbero stati in viaggio sulla prima classe di un aereo diretto in un posto di cui il Professore non gli aveva detto il nome.
Ma il Professore come già detto aveva deciso di tenere l’opera per sé: mai avrebbe venduto quel quadro:con la scusa di prendere un po’ d’aria uscì dal locale pronto a partire abbandonando il suo complice al suo destino ma mentre usciva avrebbe sentito suonare le sirene della polizia e di colpo il locale sarebbe stato circondato da poliziotti con le armi spianate. Sarebbe stato a quel punto che il Professore sarebbe stato preso da un raptus. Quell’ opera doveva essere sua o di nessuno; di corsa si diresse verso l’auto del custode, una Uno scassatissima, pronto a distruggere il”suo”quadro. Ma non aveva fatto i conti con Giovanni. Questi non lo avrebbe perso di vista un attimo e quando lo vide dirigersi verso l’auto lo avrebbe inseguito, oh sogni di gloria, e lo avrebbe bloccato. Non sarebbe stato facile per lui avere la meglio sul Professore: questi combatteva con la rabbia, rabbia dettata dal tentativo di sfuggire ad un destino che gli avrebbe distrutto la vita. Pensava alla sua compagna al suo bambino a sua madre al suo lavoro e combatteva come mai aveva combattuto. Pensava al carcere: non voleva finire lì. Di colpo si rese conto di ciò che aveva fatto e in quell’attimo avrebbe capito che doveva pagare e smise di combattere. I poliziotti intervennero ma lui non oppose resistenza. Andò verso l’auto dopo aver aperto il bagagliaio avrebbe estratto un rotolo: era l’opera trafugata. Avrebbe confessato tutto cercando di non rivelare il nome del complice. Non avrebbe voluto vederlo tornare in carcere, non voleva sentirsi in colpa anche per questo. Ma fu inevitabile, al commissariato avrebbe ceduto e quindi lo indicò lì davanti a tutti. Quando misero le manette al custode lo vide piangere. Si sentì Giuda. Salì sulla macchina della polizia che sarebbe partita sgommando.
Giovanni a quel puntò pensò che sarebbe rientrato nel locale. Ormai tutti lo avrebbero considerato un eroe, Anche la stampa sarebbe stata lì pronta ad intervistare il personaggio del momento, colui che aveva salvato un’opera di De Nittis. Anche i suoi amici sarebbero stati coinvolti ma mentre Augusto sarebbe stato entusiasta di essere intervistato,Genny E Luca avrebbero sicuramente cercato di sottrarsi invano alle telecamere. La proprietaria del locale invece sarebbe stata felice per tutta quella pubblicità gratuita. Alla fine i giornalisti se ne sarebbero andati e Giovanni avrebbe potuto finalmente tornarsene a casa. Pensò che sarebbe stato molto tardi, circa le quattro del mattino e stava in pensiero per sua madre.
-. Ma, tutto questo è stato solo un incubo? Mamma mia!
E così, restò con lo sguardo perso nel nulla, mentre il buio di una notte di inizio estate avvolgeva la città.

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