UNDERGROUND

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Il mio vero nome è XY123 e da tempo sono in missione sul vostro pianeta: il mio è lontanissimo, e francamente non so se avrò voglia di tornarci, ormai mi chiamo Cocco, Giovanni Cocco.
Da robot bionico, il Dispensatore Universale mi aveva affidato una missione segretissima: acquisire notizie sul pianeta Terra.
Quando partii non avevo nessun punto di riferimento se non una voce stentorea che dall’archivio universale declamava ROMA CAPUT MUNDI.
Roma un fonema un po’ atipico con molti possibili anagrammi, ma dove cercare Roma? Dove cercare la conoscenza di un amore troppo diverso da me?
Non fu per niente facile l’unica traccia era un filmato (dite mi pare così di antiquate foto animate) con un tale, Mussolini, se non ricordo male, che sbraitava da un balcone.
Tempi cambiati, quando sono arrivato qui era tutto diverso.
Io ero veramente alieno da ogni cosa che mi circondava.
Ricordo il giorno in cui arrivai qui. Mi materializzai in un posto totalmente sconosciuto, la prima cosa che vidi fu un’immagine tutta colorata, di un indumento stranissimo, che ora so chiamarsi mutande, in primo piano e non riuscivo a capirci proprio un bel niente.
Cercai disperatamente di collegarmi con la biblioteca galattica, per saperne di più, ma il tentativo non riuscì, forse i miei sensori reagivano un po’ violentemente a quell’aria chiusa e alla luce scura di quel corridoio. Solo da poco tempo mi rendo conto di essere stato, in quel momento, preda di un panico assoluto: cercai di muovermi, avevo letto che gli indigeni dominanti erano per lo più mammiferi bipedi, composti da un innumerevole insieme di unità dotate di vita propria, le cellule, che riuscivano non si sa come ad autorganizzarsi. Mi misi a camminare, quasi a correre verso la più vicina fonte luminosa e mi ritrovai con la mia tutina verde, adatta più ad un bosco - ora lo so- che ad una stazione della metropolitana.
Tutti si voltarono a guardarmi, ed io per scappare tentai di saltare la barriera dei tornelli, a quel punto spuntò fuori un ometto con un cappello blu che mi sbarrò la strada,
- signo’, verde omo verde, ma nun lo sai che non sé po’ fa’. Pe piglia la metro ce vole er biglietto, BIGLIETTO ANDERSTEND!
- Bigliettoanderstend, cos’è, io non conoscere
- Allora tu tornare indietro e non prendere metro, e ringraziare me che non ti faccio multa.
- Multa?
- A’ multa, MULTA sei scemo, sparisci se no magari cambio idea e te piii un multone galattico!
- Ah galattico, se è galattico può andare.
- Vattene, se no te faccio arrestà!
Tutti i presenti si erano avvicinati e ridacchiavano, divertiti, un po’ per il mio abbigliamento un po’ per la conversazione col controllore, che mi aveva evocato l’immagine del mio lontano pianeta, il romanaccio inconsapevole.
Abbassai la testa, e tornai indietro.
- scusa uomo blu, non volere offendere
- Ora basta
Si sentì un rumore metallico e i miei sensori furono per un attimo fuori uso; non reagìi, in compenso sentìi i commenti arrabbiati dei presenti
-Anvedi, basta che c’hanno ‘na divisa addosso e se credono de’ pote’ comanda’, un ceffone gl’ha dato a quel poveretto!
- T’aveva fatto le scuse nun vedi che è straniero, verde, antipatico ma straniero ed educato: mo te le do io le scuse.
A quel punto due o tre bipedi di grossa taglia si avventarono sul piccoletto azzurro, il quale per nulla spaventato si mise a dare pugni e calci per ogni dove; purtroppo non so’ come sia finita, perché approfittai della confusione per tornare nell’angolo buio del corridoio dietro al cartellone delle mutande.
Me ne stetti lì per un po’, a riflettere sul da farsi ed ad osservare ben nascosto le poche persone che passavano.
Per non dare nell’occhio dovevo assolutamente almeno cambiare vestito.
Inoltrai una richiesta urgente alla biblioteca galattica, che per la fretta mi inviò l’immagine di un signore distinto con cilindro frac e mantello di fresco di lana, e mi fece spuntare un paio di baffi neri che in quel momento mi davano solo fastidio.
Ma così avrei dovuto, almeno secondo quanto comunicatomi dal Dispensatore via telecontatto, passare inosservato.
Non fu proprio così, ma almeno potevo sempre fingere di stare per andare a una festa in maschera anche se appresi questa circostanza da un signore che mi disse ridendo:
- che bel costume, ma Carnevale è già passato e pure Pasqua, che stai andando a una festa?
- Sì
Tirai dritto, per non provocare di nuovo le ire dell’ometto blu, che stava imperito, per nulla scomposto nel gabbiotto, mormorando tra sé e sé
- da qua deve ripassa’ l’omo verde e io gliela farò vede’, tutti sti froci extracomunitari che vengheno a Roma e credono de potesse frarsi i loro affari, nun se ne po’ proprio più: a morte li metterei tutti..
Vidi una scala infondo a un corridoio opposto a quello dove ero arrivato, andai là.
- ‘che ciai du’ euro, solo per mangiare!
Mi trovavo di fronte a un dato sconosciuto, cos’era EURO?
Elaborando questo dato così strano una memoria remota mi suggerì che poteva trattarsi di moneta, ovvero valore simbolico attraverso cui effettuare scambi.
Per me era quasi divertente: sul mio pianeta la moneta non esiste, tutti hanno quello serve, basta collegarsi col pensiero al Dispensatore Universale e voilà o mangi o dormi o ti fa un giro.
- cos’è due euro, tu fare vedere me e forse io aiutare
- E certo così ti freghi tutto!
Così fu che usando i poteri avuti dal Dispensatore Universale feci scivolare dalla tasca di quello lì due euro, li analizzai con i miei sensori nascosti da un paio di guanti.
Iniziai ad avere la composizione dei metalli dei due euro: alzando la mano libera captai le stesse sostanze disperse nell’atmosfera e generai una cinquantina di monete (ora so che si dice così) per quello lì, detto anche mendicante.
- ahooo! E che è, miracolo. Dimmi com’è stato che voio prova’ pur’ io!
Nel frattempo quello lì con le lacrime agli occhi si era buttato sul mucchietto di monete: quasi mi dispiaceva non averne potuto clonare di più ma la percentuale di metalli sospesi nell’aria non mi aveva consentito altro.
Cominciavo a sentire qualcosa di strano; sul mio pianeta era il Dispensatore universale a programmare la mia vita. Io non avevo mai avuto il piacere di conoscerlo personalmente, però era come se fosse un mio vero e proprio gemello occulto; sapeva sempre i miei pensieri, i miei desideri, i miei bisogni; organizzava Lui tutta la mia vita ed io non potevo concepire un modo diverso di esistere; essere sempre in telecontatto col Dispensatore Universale era per me come stare in un acquario pieno di meraviglie gratuite: certo il prezzo da pagare era l’assoluta mancanza della sola idea di una vita indipendente. Il Dispensatore è in perenne telecontatto con tutti gli abitanti del mio mondo e decide per tutti, e tutti sono convinti che decida per il meglio. Non credo che sia mai esistito nessun robot bionico che abbia mai neppure pensato di comportarsi in maniera differente da quanto stabilito da Lui. Anche io non ci avevo mai pensato ed eseguire decisioni di una entità superiore era comodissimo; infatti quando si visualizzò nella mia mente il pensiero che era necessario che io partissi, un pochino ero perplesso: avrei lasciato la mia vita e la mia tranquillità, gli altri robot che condividevano il telecontatto col Dispensatore, per partire verso l’ignoto.
Lui, mi rassicurò inviandomi un kit di sensori adatti ad ogni situazione e la possibilità di consultare senza filtri i contenuti della Biblioteca Galattica che mi avrebbero aiutato ad orientarmi in una realtà nuova.
Ma sulla Terra sembrava che le cose non funzionassero così.
Lo stupore di quell’essere, il mendicante, era meraviglioso; per la prima volta provavo qualcosa che non sapevo definire, però mi faceva stare bene, cominciare a sentire gli odori e i sapori di un mondo nuovo fatto di emozioni che riuscivo a controllare solo in parte (alla faccia del Dispensatore Universale).
- non scappare quello lì
- miracolo, miracolo!
Sentivo la sua voce allontanarsi di corsa verso un buco che ho scoperto, dopo, chiamarsi uscita della stazione del metrò.

Provai a inseguirlo, ma avevo sentito la sua intenzione di fuga: non era il caso di dare troppo nell’occhio ero pur sempre un Robot alieno proveniente da un lontanissimo pianeta, sconosciuto agli indigeni; già avevo appreso che gli umani possono essere alquanto irascibili: la voce stridula dell’omino blu mi rintronava ancora in testa.
Allora mi sono diretto anche io verso quel buco che tutti chiamavano “uscita della stazione” e mi sono ritrovato in un viale, la strada era piena di gente; strano – pensavo – quello che avevo incontrato lì sotto cercava di coprirsi mentre quelli di sopra avevano pochi vestiti addosso e stavano vicino a dei fuochi precari.
L’aria era frizzantina e un venticello piacevole faceva svolazzare la mia cappa grigia.
“Ehi, tu, signor Dracula, guarda che non siamo più a Carnevale!”
Ebbi appena il tempo di chiedermi perché, perché mi guardano tutti ridendo?
“Attento al cilindro, che con questa arietta vola; ma che c’hai er coniio dentro al cappello, e i denti?”
Un umano di genere apparentemente femminile si allontanò da un fuoco e si diresse verso di me sorridendo.
Era piccolina e stava in equilibrio su un paio di scarpe buffissime alte, alte e tutte dorate; io misi automaticamente le mani sul cilindro.
“Anche lei vuole due euro?”
“Ma che sei scemo, trenta ne prendo e dobbiamo fare presto perché ho altri clienti.”
“Presto per fare che?”
“Ma da dove vieni dalla luna, ma per fare sesso scemo!”
Mi si presentava un altro rebus da risolvere e questa volta non si trattava di metalli sospesi per aria; ho scoperto che si trattava di carne e di ossa (componenti del corpo degli esseri umani presso cui mi trovavo). Non sapevo cosa era il sesso e dovetti attivare in tutta fretta un collegamento con la Biblioteca Galattica per cercare di capire cosa stava succedendo.
Risposta: il sesso è un antiquato sistema di riproduzione che comporta il congiungimento di due corpi uno di genere maschile, l’altro di genere femminile.
Dissi a quella strana figura seminuda”Allora dobbiamo fare bambini?”.
“Ah, anche i bambini: solo quelli ci mancano! Ma dì un po’ ce l’hai il preservativo?”
“No, ma cos’è?”
“Dai non ti preoccupare, penso a tutto io: caccia i soldi.”
Mi ricordai di avere in tasca le monete che avevo continuato a produrre captando i metalli sospesi nell’aria.
Presi le monete e gliele porsi.
“ma per chi m’hai preso per un barbone, io voglio questi” sventolando un bigliettino di carta stampata con inchiostro rosso.
“voglio almeno tre di questi”.
Senza pensarci molto su presi il bigliettino e lo duplicai una decina di volte; glieli porsi dicendo: “Ti bastano?”
“Scherzi, se per te è così facile procurarteli ne voglio ancora, così almeno per stasera finirò presto di lavorare”
Gliene diedi un bel mazzo, e mi sembrò contenta, ma era solo l’inizio.
La signora, mi portò dietro una siepe al buio e si tolse quel poco che aveva addosso, scarpe comprese;
“Beh, che fai non ti spogli?”
“Ma scusa, non l’hai detto tu che c’è un’arietta mi pare di ricordare –frizzantina?-
“Allora scaldami tu! Se no mi piio un raffreddore
“Scusa come posso fare a togliermi il mantello c’è un nodo, qualcosa, mi sembra di ricordare che Voi … lo chiamate bottone? Gemello? Fermaglio?
“Aho fa freddo, dammi sto coso e sbrighete, che me ne voio anna’!”
Mi strappò un pezzo del mantello e se lo mise addosso.
“Scusa ma non ti sembra di esagerare! Mi hai rovinato il vestito, mantello”
“Se non spoii subito, ah cocco bello, primi ti piii un bel calcio nei santissimi e poi me ne vado; io c’ho la mia vita cocco!
“Ma io non so che fare.
“Bello, ma l’hai mai fatto?”
Non potevo mentire così risposi “No, non l’ho mai fatto, da noi non si usa così.”
“Certo che per come sei stravestito, capisco che è un po’ difficile da fare; comunque visto che mi hai strapagato, farò tutto io”.
Capii che dovevo in qualche modo agire, quindi quando lei si voltò per coprire le erbacce col pezzo del mio fu mantello, feci scomparire i vestiti, tutti; mi ero documentato la Biblioteca galattica mi aveva inviato l’immagino disegnata di un uomo, maschio fatta da un tal Leonardo da Vinci; così per una volta non sarei stato impreparato.
Lei mi guardò stupita
“Aho, er mago Houdinì, e chi era?
“Sono io.
“Ah pazzerello cieni da me non mi interessa sape’ chi sei, cocco.
Mi buttò per terra, ed io ero molto preoccupato che qualche mio sensore potesse danneggiarsi, poi mi saltò addosso e cominciò a toccarmi dappertutto; io stavo pensando ai miei sensori, ma di colpo ogni paura cessò e iniziai a sentire un benessere sconosciuto quasi indipendente dalla mia volontà: la forma umana che avevo assunto se ne andava per i fatti suoi, il mio corpo si modificava sotto le mani di quella creatura e sentivo un’irresistibile attrazione nei suoi confronti.
A un certo punto capì di essere non so come dentro al suo corpo e dopo un po’ tutti i miei pensieri erano completamente travolti da una marea di sensazioni forti.
Non sapevo cosa fare e decisi di farmi guidare da lei, completamente.
Lei comprese la situazione e mi guidò verso quei sensi che io non avevo mai avuto la possibilità di sperimentare.
Non so quanto durò il tutto, ma avrei voluto che non finisse mai.
Fui in qualche modo riportato alla realtà dal suo saluto “Ciao cocco, non sei male, torna ancora da queste parti, tu sei un mio cliente speciale.”.
Vidi la sua ombra sparire nel buio.
Ripresi per un attimo la mia forma originaria, ero troppo sconvolto, poi riuscìi a rimettere i dati a posto e mi ritrasformai in uomo, rimaterializzai i miei vestiti, li riindossai alla meglio, il mantello strappato decisi di lasciarloe ritornai sul viale.


Lei non c’era più.
Mi misi a correre come un disperato, non so cosa mi fosse preso ma sentivo come un vuoto dentro di me che i sensori non riuscivano a spiegare.
Tutto a un tratto mi resi conto di seguire le tracce del suo odore in mezzo alla strana popolazione che sembrava abitare il viale; correvo, correvo con le narici allargate e i sensori in stato di massima allerta, e quello stupido cappello in mano: ecco avevo trovato il suo odore vicino a un falò ma poi l’avevo perso di nuovo, e continuavo a correre a destra, avanti, a sinistra, ero tornato indietro verso la siepe quando avevo quasi fuso i meccanismi di rilevazione: gli indigeni si erano voltati tutti verso di me.
-Anvedi, pure Dracula incontriamo e core; ma ‘ndo cori, ancora qua stai, e la Transilvania?”
-Ma signore, signore, dove sta correndo, siamo del Centro Assistenza di Strada, vuole una bottiglia di minerale?
-Oh, attenzione, che il cilindro, cadeeee, fermati
Il cilindro? Ma che volevano tutti quanti da me; e che me ne facevo di un solo minerale, quando nell’aria ce n’erano parecchi; e la giacca dov’era la giacca? Mentre tutti questi pensieri assolutamente disordinati mi passavano per la mente, quelli del Centro assistenza di Strada mi avevano puntato, come una muta di segugi fa con la volpe; ora so che sembravo l’uomo in frac di una canzone famosa: forse i volontari pensavano di poter fregiarsi del titolo di salvatori da suicidio, ma io avevo appena iniziato a esplorare questo mondo e per quanto strano fosse non avevo nessuna intenzione di porre termine all’esplorazione: il Dispensatore aveva deciso così.
A un tratto mentre, cercavo disperatamente di seminare i volontari di corsa, prima un cespuglio, poi un cassonetto, due auto, scavalcai un muro: ecco la traccia giusta, arrivai trafelato dietro un’ennesima siepe e Lei era lì con un uomo a fare, presunsi, quello che aveva fatto con me.
Non nascondo che in quell’istante gli gridai tutti gli insulti intergalattici che conoscevo, lei non capì.
“Ma che cavolo vuoi, pensi che io debba lavorare solo per te, l’esclusiva comunque costa!”
A quel punto ero arrabbiatissimo, il mio proverbiale fairplay da navigatore stellare, nonché da robot certificato era svanito ed io me la presi con il poveretto che stava lì seminudo con lei: lo sollevai di peso e lo scaraventai dall’altra parte della strada, non mi sembrava di aver fatto una così tanto straordinaria, ma la signora mi guardava molto sorpresa e impaurita.
“Ma chi sei tu, non sarai Dracula per davvero?”.
“Non importa chi sono” dicendo queste parole mi svuotai le tasche porgendole un cospicuo mucchio di quei bigliettini colorati, che alla signora interessavano tanto.
“Sai che te dico, nun mene frega gnente di che sei tu, co’ tutti ‘sti sordi l’esclusiva te la sei guadagnata, però a sto punto te porto a casa da me, dove potemo sta più tranquilli.”
Lei si mise a camminare lentamente dandomi la mano, in quel momento i miei sensori trovarono un po’ di pace, era bellissimo sentire la sua pelle e il suo odore vicino a me, non ero più solo, anche se forse parecchio confuso da tutte queste cose che mi stavano capitando.
“Vieni, andiamo in quella stradina là.” Indicandomi una piccola traversa buia al di là del grande viale così stranamente popolato.
“Abiti là?”
“Ma no, sei proprio scemo, sto in una bella casa io, in centro qui ci vengo solo per rimediare, quando sono un po’ in difficoltà, di solito lavoro a casa; ora andiamo a prendere la vespa, Cocco”
Vespa: la Biblioteca Galattica mi forniva una definizione animale del sostantivo, ovvero imenottero dotato di ali e pungiglione.
“Allora ci facciamo un giretto per aria con il tuo insetto personale?”
Stetti zitto, lei mi aveva guardato con uno sguardo attonito, non me la sentii di approfondire la conoscenza degli imenotteri sulla Terra.
Nel frattempo eravamo arrivati vicino a un marchingegno metallico senza ali: possibile che quella fosse la Vespa?
“Dai monta su che andiamo a casa”.
Sentii un rumore di meccanismi metallici e uno strano odore che ai miei sensori sembrava la scarto della combustione di una sostanza di origine organica.
Ma non ebbi molto tempo per approfondire la questione, il vento mi accarezzava e io stavo abbracciato a lei che guidava quello strano insetto.
Feci appena in tempo a pensare che c’era qualcosa che non quadrava nei contenuti disponibili della Biblioteca Galattica che, procedendo sul viale vidi una scritta CINECITTA’.
“Vedi cocco, lì avrei voluto lavorare io, nel cinema, nella tv; ma tu non puoi immaginare quanti zozzoni me l’hanno promesso ‘sto lavoro, ma poi gnente, e con loro, con questa scusa ho lavorato gratis”
Mi ricordai di colpo il filmato che era stato la causa del mio viaggio.
“Ah sì, Mussolini.”
“Ma che Mussolini, quello è morto e anche sepolto, è vero che cinecittà è stata costruita in quel periodo, ma ora è tutto diverso, sono passati quasi cent’anni da allora, e il mondo non è più lo stesso.”
Dopo qualcosa che mi parve un sospiro continuò:”vedi qui dentro rifanno intere città del passato e del futuro, costruiscono mondi fantastici per fare sognare le persone, cocco, chissà tu che sogni tieni, perché ognuno ne ha.”
Mi domandai allora di che cosa si trattasse, visto che, almeno fino a quando ero stato scaricato nella stazione della metropolitana i miei pensieri erano stati costruiti e ordinati dal Dispensatore Universale.
“Il mio sogno sei Tu”, non so come mi scapparono queste parole e non credo che lei avesse sentito qualcosa, nel frastuono del traffico, della gente che sembrava non voler lasciare quel posto.
Ma cosa mi stava succedendo, quello che avevo detto al vento di Roma, non c’entrava niente col Dispensatore Universale, era un pensiero mio e totalmente diverso da quelli che, anche se di nascosto, avevo cercato di concepire fino a quel momento.
Mi sentivo bene, stavo abbracciato alla persona che aveva aperto orizzonti nuovi ai miei sensi, ormai autonomi dai controlli dei sensori del Dispensatore, e che ora mi stava permettendo di formulare un pensiero compiuto e autonomo.
La concezione del sogno come desiderio fantastico, ma in qualche modo realizzabile, almeno nella speranza di un individuo dotato di libero arbitrio.
Mentre mi passavano per la testa queste cose mai concepite prima, mi accorsi che nel frattempo continuavamo il nostro viaggio, sull’insettone metallico: “chissà dove stanno le ali, che strano animale però”.
“Cocco stiamo per restare a secco! Me devo assolutamente ferma’ e per fare miscela, se no a casa stasera non c’annamo più.”
Vidi un cartello illuminato con la scritta ITALPETROL, ci dirigevamo proprio là.
“Aho! Lucrezia! Lucre! So’ io Gino, è tanto tempo che non ti fai vedere da queste parti.”
“Beh, se è per questo nemmanco tu mi sei venuto più a trova’: cos’è il parroco ti ha imposto la castità?”
“Ma che parroco e parroco, nun vedi che lavoro di notte, e di giorno sono tutto stranito, ormai sono sei mesi che va avanti questa storia, ma se voio lavora’ me devo rassegna’. Che c’hai bisogno di benzina e chi è quello là che sta sul motore con te, Dracula?”
“E’ Cocco, il mio migliore cliente, se stasera ti pago è merito suo”
Gino era un signore un po’ tarchiato vestito con una tuta blu e un buffo cappellino che mi faceva quasi venire nostalgia per le antenne.
Azzardai “Ciao Gino”
“Ciao Cocco, quanta miscela voi”
“Stasera siamo in soldi” pigolò Lucrezia “il pieno.”
Risentìi alcuni componenenti dell’odore di prima, ma insieme ad altri odori, e mi accorsi con terrore di non riuscire più a collegarmi con la Biblioteca Galattica. Non dissi più nulla.
Lucrezia, ora conoscevo il suo nome, mi disse:
“vieni Cocco, vediamo le bellezze de sta città eterna”
Risalimmo sul “motore imenottero” e via lungo dei viali a saliscendi; non c’erano molte macchine e la luna illuminava il cielo: fu così che voltandomi vidi una specie di rudere.
“Cocco, ecco qua il famoso Colosseo.”
“Ma che ci abita qualcuno lì dentro?”
“Sì.. i leoni; Cocco, che scherzi? Non sai cos’è il Colosseo?”
“No”
“L’impero romano, Roma caput mundi..”
“Ah sì Mussolini!”
“Ma Cocco, che Mussolini e Mussolini, magari Cesare”
“E chi è Cesare, un altro dei tuoi amici?”
“Cocco, te sei di nuovo bevuto il cervello; sembra che sei un marziano, certe cose si sanno e basta, nun c’è bisogno de’ spiega’;
qui era uno stadio dove si facevano i giochi coi leoni e coi cristiani e i diversi cristiani s’ammazzavano tra loro; e tutti stavano lì a vedere chi moriva per primo.”
“Divertente: e i leoni erano di metallo come questo insettone qui?”
“Ma che dici, Cocco, sei proprio stonato. Roma è una città che può fare uno strano effetto a chi non c’è abituato come me.”
Tacqui, Lucrezia aveva detto una verità che sicuramente era aldilà delle sue intenzioni: come ero cambiato, tanto cambiato da non essere più me stesso, ma alla fine veramente COCCO; un uomo vero in carne ed ossa che aveva tutto da imparare e che si era scelto una maestra di vita sui generis.
Il cilindro era volato via da un pezzo, iniziava a fare un po’ freddo: avrei scoperto in seguito che non mi piaceva l’aglio.

Mario e Marina

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